Posted by: christiandenicolo | 08/07/2018

Amadablam Summit

 

Sono passati molti mesi dall’ ultima volta che ho scritto qualcosa qui sul mio blog riguardo la mia ultima spedizione in Nepal al Amadablam realizzata nel novembre 2017. E´stato un periodo stupendo, vissuto in maniera molto intensa con giornate impegnative, ma fatto anche di incontri molto interessanti ed esperienze bellissime in ambienti a me sempre più familiari. Questa volta scrivo con molta tristezza e più fatica del solito, perché pochi giorni fa ( Mt Agner 17 giugno 2018) e’ venuto a mancare in un incidente alpinistico qui nelle Dolomiti il mio compagno di spedizione Berni Mahlknecht col quale avevo passato delle super settimane insieme scalando la cima del Island Peak 6200 mt. e del Amadablam. Tra di noi si era instaurata una bella e profonda amicizia. Berni era una persona con il quale ti capivi al volo senza tante parole. Ora purtroppo non ce piu fisicamente ma di lui rimarra´un grande ricordo, un compagno davvero straordinario, un bravo arrampicatore, semplice, divertente e che sapeva adattarsi a qualsiasi situazione si presentasse, possedendo una grande capacita’ alpinistica ed un forte spirito di avventura. Era uno di quei compagni che risceglieresti subito per un’ altra spedizione. L’idea di scalare l´Amadablam mi era venuta diversi anni fa quando passandoci sotto per l´ ennesima volta mi chiesi se mai fossi stato in grado di salire una cima come quella. E´una montagna con una sagoma inconfondibile, maestosa  ed affascinante allo stesso tempo. Viene chiamato “Il Cervino dell’ Himalaya” che con i suoi 6812 mt. presenta una scalata molto tecnica richiedendo una buona conoscenza di progressione sia su ghiaccio, roccia e terreno misto. Non nascondo che dentro la mia testa vi erano molte domande, dubbi e anche paure. Pero’ e’ proprio quando tutte queste sensazioni si mescolano tra di loro che la cosa si fa piu interessante. Nel 2010 sali la cima del Mt. Denali 6194 mt. in Alaska con temperature che raggiunsero i -30 gradi, dal Tibet nel 2011 provai il Cho Oyu 8200 mt. dove arrivai ai 7300 mt. di campo 2 e dovetti rinunciare alla cima per colpa del meteo sfavorevole. ( Temperature di -30 la notte con Jeet Streams… che sono venti molto freddi e forti in quota). Nel 2014 arrivai in  vetta al  Himlung Himal 7200 mt. nel gruppo dell´Annapurna senza grandi difficolta´. Analizzando un po tutte queste mie ultime salite , considerando il freddo spesso sofferto in passato ma ben sopportato e sapendo che in quota il mio fisico fortunatamente non ha mai dato grossi problemi, pensai che la cosa migliore da fare per risolvere i miei mille dubbi fosse quella di scrivere e chiedere consiglio  a Temba Tsheri Sherpa e Nima Gyalzen Sherpa, due miei super amici nepalesi con alle spalle tutta una serie di spedizioni su cime come Everest, Lohtse, Makalu…, riguardo questo mio nuovo progetto. Loro sono due forti ” Climbing Sherpa” che vivono di Himalaya e sanno darti i giusti consigli.  Nima rispose alle mie mail senza usare tante mezze parole. Mi disse che l’ Amadablam era piu tecnico rispetto ad Everest e ad altre montagne, ma che secondo lui la cima l’ avrei potuto fare senz’ altro, e che sarebbe stato felice di venire con me. Leggendo le sue parole mi venne una scarica di adrenalina indescrivibile e che mi fece capire che il mio prossimo obiettivo sarebbe stato solo più uno: L’ Amadablam. Non do mai nulla per scontato perché ogni montagna ha la sua storia con pro e contro ma con Nima al mio fianco, mi sentivo tranquillo, sicuro e con una buona possibilità di successo. L´obiettivo ormai era chiaro, ora si trattava solo di iniziare ad allenarsi come dio comanda. Uscite presto al mattino in inverno con sci da alpinismo due o tre volte alla settimana, scalate in ghiaccio, in estate tanta corsa in montagna, arrampicata, salite ripide con bastoncini e fatiche con 30 kg di peso nello zaino per potenziare la forza nelle gambe. Niente viene da niente ma ero disposto a questo ed altro pur di farcela. Esperienza credo di averne accumulata in tanti anni di spedizioni fatte ed arrampicate qui nelle Dolomiti. Di conseguenza mi sentivo abbastanza tranquillo. Berni lo conoscevo di vista e ricordo che lo incontrai un giorno per caso in paese a Selva, dove entrambi abitiamo, vestito da maestro di sci. Con un sorriso molto simpatico, mi fermo’ e mi chiese se avessi qualche progetto per l’ autunno…gli dissi che l´idea era di andare in Nepal….subito mi chiese: “E quale montagna”? Gli risposi: ” Amadablam”… i suoi occhi si illuminarono e mi disse: “Fammi sapere se ti serve un compagno, quella montagna mi piace molto, ho sentito della tua idea da un amico e volevo chiederti se potevo venire con te”. Sorrisi…. Di lui non sapevo moltissimo dal punto di vista alpinistico a parte che aveva provato a salire lo Spantik in Pakistan ed era stato in cima al Lobuche Peak in Nepal qualche anno prima. Aveva scalato belle pareti qui nelle alpi e dintorni, e l’ impressione che mi diede li sul momento fu positiva e senza pensarci tanto che dissi a lui che per me non c ‘era nessun problema e che la cosa mi avrebbe fatto molto piacere. C’ era ancora molto tempo prima di decidere partenza ed altro cosi lo salutai dicendo che ci saremmo parlati piu avanti con calma spiegandoli il mio programma. Scrissi a Temba, che ora gestisce l’ agenzia Sherpa Khangri Outdoor a Kathmandu.  Temba fu lo Sherpa nepalese più giovane che con 15 anni sali la cima più alta del mondo, l’ Everest con i suoi 8850mt. Gli chiesi se fosse possibile organizzare l’ Amadablam nonostante fossimo solo in due. Mi rispose dopo pochi giorni che non c’era nessun problema, …aggiunse solo… “Send me the money and copys of your passports”… tutto molto semplice no? Basta pagare…. e tutto si puo fare. Passata la stagione invernale un bel giorno mi rincontrai con Berni in pizzeria assieme a Nikolaj, un mio amico danese che la primavera prima aveva tentato assieme a Nima la salita dell’ Everest e col quale in passato avevo salito Kilimangiaro ed il Himlung. Spiegai a Berni che la mia idea era di fare un trekking tarnquillo da Lukla verso Chhokung con durata di circa 7-8 giorni, da li andare al campo base dell’ Island Peak, sailre la cima, scendere, dormire una notte ancora a Chhokung e poi tirare dritto per il campo base dell’ Amadablam dove Nima ci avrebbe aspettato. Lui nel frattempo era al Makalu con un gruppo di clienti cinesi. Berni mi disse che il mio programma gli piaceva molto, che avrebbe fatto tutto insieme a me, l’ unica cosa, avrebbe voluto salire le due cime in solitaria senza Sherpa che lo accompagnasse e senza usare corde fisse. Sapevo delle sue capacita’ alpinistiche, per me avrebbe potuto fare come meglio credeva ma gli dissi solo che secondo me per l´Amadablam era meglio che ci riflettesse su bene. Portarsi tenda viveri sacco a pelo, materiale tecnico e chi piu ne ha piu ne metta, fai subito ad avere uno zaino pesante oltre 25kg., si sprecano tante energie e in solitaria cosi, la possibilità di fare la cima sarebbe stata minore.  Se comunque la sua idea era questa io non mi sarei opposto e l´avrei rispettata anche se non la condividevo pienamente. Nel frattempo organizzai due biglietti aerei e una buona assicurazione. Decidemmo di partire il 16 ottobre da Milano per Kathmandu. La data non fu decisa a caso. Mingma un mio amico nepalese, uno degli Climbing Sherpa più conosciuti e forti del momento, mi spiego’ che il periodo migliore per salire l´Amadablam era da novembre in poi perche´ il tempo era più stabile, e non c’ e’ rischio di monsoi anomali dall’ India che possono scaricare forti quantità di neve. Arrivati a Kathamndu restammo pochi giorni. Giusto il tempo di sbrigare le solite carte burocratiche, comperare alcune cose mancanti, una bella cena tutti insieme per conoscersi un po´ meglio e poi scappare via veloci dalla citta´ una volta avuto il via libera da Temba.  Il volo da Kathmandu verso Lukla fu sicuramente uno dei piu bei voli mai fatti. La giornata era perfetta. Cielo limpido con poche nuvole e si pote’ ammirare Everest, Lohtse e un infinita’ di altre stupende cime compresa la nostra. Il gruppo nostro era formato da Pasang Rinzee Sherpa´, un simpatico ragazzo nepalese con alle spalle diverse belle salite come Everest e altri 8000 mt. , Luckme Syangden Taman una ragazza di 20 anni simpaticissima e sempre sorridente che Temba decise di aggregare al nostro gruppo come assistente guida, Sara Vallana una ragazza della Valdossola che si era aggregata al nostro gruppo all’ ultimo secondo, amica di Cristina Piolini forte alpinista italiana che fu per molti anni la responsabile della Piramide del CNR a Lobuche e che conobbi nel 2006 durante la spedizione al Pumori. La mia impressione del gruppo fu molto positiva, piccolo gruppo ma con gente molto forte fisicamente, ben allenata, decisa e che sapeva il fatto suo.

Per raggiungere la cima del Imja Tse, più conosciuto come Island Peak di 6189 mt. abbiamo affrontato una parte del classico trekking che partendo da Lukla porta ogni anno centinaia e centinaia di turisti attraverso la valle del  Khumbu alla valle del Gokio o Kala Patthar e campo base dell´ Everest. Passando per Phakding, si arriva a Namche Bazar, un villaggio posto a 3340 mt. noto come il principale punto di partenza per spedizioni e trekking verso le molte vette Himalayane. A Namche abbiamo riposato due giorni per favorire il nostro acclimatamento, visitanto i piccoli villaggi di Khunde e Khumjung dove nel monastero locale viene conservato il cranio del leggendario Yeti. Da Khumjung, villaggio posto a 3750 mt. di altezza, si ha uno stupendo panorama su molteplici cime come Lohtse, Everest, Nuptse Amadablam, Kantega, Thamserku. Terminata la prima fase di acclimatamento, siamo ripartiti da Namche Bazar alla volta di Tengboche dove si trova il famoso monastero tibetano conosciuto col nome di Dawa Choling Gompa, probabilmente il più grande e famoso luogo di culto di tutta la valle del Khumbu. Merita sicuramente di essere visitato. Per me e´una tappa obbligatoria ogni volta che passo di li. Mi fermo sempre volentieri al monastero per seguire le cerimonie religiose dei monaci. Dopo una notte a Tengboche abbiamo contiunato alla volta di  Dingboche passando per Somare e arivare all´ultimo villaggio di Chhukhung a 4730 mt. Qui ci sono poche case, la gente che vi abita sono per lo più allevatori di Yak, e qualcuno gestisce i Lodge dove alpinisti e trekkers hanno la possibililita’ di soggiornare.

L´Island Peak e´una cima tecnicamente non difficile e viene salita ogni anno da numerosi scalatori. Ha ricevuto il nome di Island Peak nel 1951 da parte di Eric Shipton poiché appare come un’isola  in un mare di ghiaccio, quando vista da Dingboche. Il picco è stato poi rinominato, nel 1983, Imja Tse ma Island Peak rimane la scelta popolare. Il picco è in realtà un prolungamento della cresta che scende dalla punta sud del Lhotse Shar. L’Imja Tse fu scalato nel 1953, da un team inglese, come esercizio di addestramento in preparazione per la scalata al monte Everest dove il amoso Sherpa nepalese Tenzing Norgay ne fece parte. Per scalare l’Island Peak, si ha la possibilità di partire da un campo base sito a 5.087 metri chiamato Pareshaya Gyab iniziando la salita tra l´una e le due del mattino. Noi arrivati dopo 7-8 giorni di trekking decidemmo di riposare una notte a Chhukung per poi continuare il giorno con molta calma verso il campo base situato ad un´altezza di 4970 mt.. Partimmo verso le 10.00 di mattina dopo una buona colazione con una giornata piena di sole e poche nuvole. Fun bel camminare, il dislivello fu ideale perché non più di 200 mt. ed il sentiero si sviluppo lungo vecchie murene glaciali circondate da un sacco di bellissime cime. Ricordo Berni molto entusiasta guardare ogni parete per trovare la sua “Magic Line” ideale per scendere con gli sci…ripeteva spesso la parola “Magic Line” chiedendomi pareri e se fossi eventualmente sceso con lui con gli sci da qualche parte. Li dissi sempre :” Tu cercati la tua linea ideale e scenditela con gli sci, io ti aspetto sotto facendoti le foto”.  Lui come puro Freerider vedeva potenziali linee ovunque, io come ” sciatore normale ” non capivo sempre ste sue idee pazze, ma ci divertimmo un sacco a fantasticare osservando tutto sto immenso spettacolo di montagne attorno a noi.  Arrivati dopo tre ore di cammino al campo base, con Berni iniziammo ad organizzarci la tenda, sacchi a pelo ed il materiale tecnico che avremmo dovuto utilizzare per la salita. Oltre a noi  c´erano molti altri gruppi di persone al campo base pronti a salire la stessa montagna. Con Pasang per evitare una partenza troppo affollata decidemmo di partire poco dopo la mezza notte. La sera verso le 18.00 si mangio’ qualcosa e poi subito a dormire cercando di riposare il piu possibile. Nel buio piu pesto e nero della notte sotto una miriade di stelle, senti qualcuno chiamarmi per nome. Era Pasang che ci dava la sveglia. Erano le 01.00 ed era ora di partire. Solita colazione a base di te e qualche biscotto e via con zaino in spalla e frontalino acceso. Vidi davanti a me una scia infinita di luci salire la montagna, erano tutti componenti di altri gruppi partiti forse un ora´e mezza prima di noi. Nonostante fossimo in dietro, il nostro piccolo gruppo si muoveva con un ritmo talmente regolare che dopo nemmeno un´ora di salita, iniziammo a superare un bel po di persone. Quella mattina in salita non riuscivo a tirare fuori il 100% dal mio fisico, complice forse l´avere mangiato qualcosa che mi aveva preso allo stomaco e tolto un bel po di energie. La salita si sviluppava tutta su un pendio di roccia infinito. Sassi, ancora sassi e avanti sui sassi..Ad un certo punto ebbi dei problemi con la mia lampada frontale e come un principiante avevo lasciato pila di riserva e batteria di riserva in tenda, tanto che se non fosse stato per Passang che mi offri la sua pila di riserva, avrei potuto rimanere li come un cretino al buio ad aspettare i primi raggi del sole e tornarmene indietro. Per quanto si vada per monti, non si finisce mai di imparare e per fortuna a volte ci sono i compagni giusti che nel momento giusto ti danno una mano. Mentre eravamo li a trafficare col frontalino, Berni mi disse che avrebbe continuato piano per non prendere freddo. Lo vidi partire deciso e lo rincontrai dopo diverse ore. Alle 05.30 eravamo dove roccia, neve e ghiaccio si incontrano. Piccolo momento di pausa per bere qualcosa di caldo, mettersi i ramponi e continuare su terreno completamente innevato con diverse parti in ghiaccio. L´ ambiente fu molto suggestivo con pendi ripidi e molti passaggi tra un labirinto di seracchi e ponti di ghiaccio. Prima di raggiungere la lunga piana che porta al ripido pendio che precede la cima, ci fu da superare un grande crepaccio largo forse 7-8mt. Il passaggio fu assicurato con 3 scale di alluminio legate tra di loro e assicurate con due corde laterali ai margini del crepaccio stesso. Ci assicurammo con due moschettoni alle corde di sicurezza e Passang ci spego come camminare con i ramponi sui pioli delle scale. Non fece nemmeno in tempo a spiegare, che eravamo gia passati tutti dall´altra parte.  L´altopiano inizio ad illuminarsi dei primi raggi del sole, era un ´momento magico  molto difficile da descrivere che trasmette emozioni molto forti e ti trasmette una forte energia dentro. Il ritmo che avevamo era molto tranquillo e regolare a differenza di altri gruppi che provavano a forzare i ritmi ma che poi gli spezzava fiato e gambe e avevano bisogno di lunghe pause per riprendersi e continuare. Verso le 06.45 eravamo ad affrontare l´ultima parte della salita forse la piu impegnativa. Una parete sui 50-60 gradi di pendenza assicurata con diverse corde fisse. Mentre salivamo vidi Berni che era gia in discesa. Giusto un saluto veloce per dirgli “bravo” che era gia´ stato in cima e poi avanti ogni uno per la sua strada. Io assicurato con jumar e utilizzando una picozza salivo autonomamente mentre Pasang, Sara e Luckme  salivano tutti e tre insieme legati alla stessa corda. Arrivato in cima, c’era gia un po di sole e lo spettacolo da lassu magnifico.Tempo stupendo senza vento e visibilita´ ottima. Volli bere un po di te caldo ma come portai la tazza alla bocca mi venne un senso di nausea. Capi che non ero al top in quel momento. Feci tre foto ed iniziai a scender. Passang arrivo in cima con Sara mentre Lackme era un po provata e raggiunse la cima per ultima. Capi che era stanca, ma le urlai per incoraggiarla e caricala un po con un: ” Come on Lukmee move your ass….you are close to summit “. Pensai di ritrovare Berni piu in basso ad aspettarmi, ma non fu cosi. Corda doppia per 200mt ed eccoci di nuovo al crepaccio con le scale. Di Berni nessuna traccia. Conoscendolo, immaginai che si fosse incamminato verso il campo base. Passammo nuovamente il crepaccio arrivando molto velocemente al punto dove potemmo togliere i ramponi. Riposammo un´ora. Poi nuovamente zaino in spalla e giu per una discesa infinita che alla luce del sole ci fece vedere la scarpinata fatta durante la notte. Dalla cima al campo base del Island Peak ci vollero quattro ore e mezzo. Arrivati alle tende, la prima cosa che feci era togliere subito quelle scarpe pesanti, sedermi un attimo e bere tanto liquido. Mangiammo qualcosa, cucinato da un cuoco che era li ad aspettarci, riposammo credo due ore e poi solo il tempo di rimettere tutto negli zaini, smontare le tende e ritornare con calma a Chhukung dove ci aspettava un bel letto comodo, una doccia calda e tante cose buone da mangiare. Durante la permanenza al lodge di Chhukung incontrammo la spedizione coreana di Sung Taek Hong con Jorge Egocheaga che tentarono per la 5 volta la salita alla parete sud del Lohtse fin ora rimasta inviolata. Ci furono vari tentativi negli anni passati ma purtoppo anche molte tragedia come la morte del gande rivale di Reinhold Messner durante la “corsa” della conquista dei 14 ottomila, il polacco Jerzy Kukuczka. Fu bello incontrare Jorge e passare un po di ore a chiacchierare con lui che ci spiegava con foto e dettagli ogni metro della loro salita. La sera poi dopo cena ci fu ancora tempo per parlare con lui ed incontrare anche il coreano e capo spedizione Sung Taek Hong. Loro erano seguiti per settimane dai media coreani che riportavano giorno per giorno gli eventi della loro salita e poi trasmettendo le news nel loro paese. Alle 22.00 pero´ tutti a letto. La giornata seguente sarebbe stata lunga per tutti

Svegliati di buon ora, la colazione ci fu servita alle 07.00 mentre il materiale doveva essere pronto entro le 08.00 perché un gruppo di giovanissimi portatori era gia fuori del lodge ad aspettare le nostre consegne. Dopo colazione, ci fu qualche minuto per controllare di non avere dimenticato nulla.  Con zaino in spalla e molta grinta e morale alto, si parti alla volta del campo base dell´Amadablam. Giornata lunga ma molto bella, circa 20-25 klm da fare a piedi…le ore di cammino non le ho nemmeno contate. So solo che con Berni, Pasang e Luckme parlammo senza sosta ed il tempo passo più velocemente. Durante il tragitto ci siamo fermati per un caffe e torta al cioccolato a Dingboche, poi avanti verso Somare dove poco dopo ci fu il pranzo. Credo fossero le due di pomeriggio quando iniziammo la discesa verso il fiume Imja khola. Attraversammo l´unico ponte esistente nell´arco di non so quanti chilometri e da li per ripidi pendi inizio´ la salita verso il campo base del Amadablam. Sul ponte c’ erano tantissime “praying flaggs” le coloratissime bandierine di preghiera. A Berni piacevano molto. Ricordo che una settimana dopo la cima, Berni un giorno che eravamo a Kathmandu mi disse che passando il ponte il giorno che stavamo salendo per raggiungere il campo base, il suo pensiero era quello che sperava che come eravamo passati quel ponte in cinque, in cinque saremmo ritornati. In qualsiasi spedizione , ogni volta che ti trovi davanti alla tua montagna, i pensieri corrono, il pericolo c’ e’ inutile negarlo, motivo in piu per fare estremamente attenzione e non rischiare piu del dovuto . Attraversati il fiume, un pendio ripido ci porto verso il campo base´. Nuvole e nebbie basse ci avvolsero. Ma la salita fu ugualmente piacevole. Si saliva con molta calma per risparmiare energie e migliorare cosi l’ acclimatamento. Ci segui anche una colonna di Yak con i loro conduttori che portavano materiali al campo base per una spedizione di americani. Al campo base ero gia stato nel 2006, mi ricordavo di un prato enorme quasi come 3-4 campi da calcio messi insieme. Arrivati a destinazione dopo quasi due ore, ci rendemmo conto di quanti gruppi, come noi, erano li per affrontare la stessa montagna. Arrivammo nel posto dove le nostre tende erano gia state montate alcuni giorni prima dal personale della Sherpa Khangri. Posai lo zaino e mi venne incontro Nima. Ci fu un grande abbraccio tra di noi e fui stra felice di rivederlo dopo quasi due anni. Gli presentai Berni e Sara. Passang e Luckme li conosceva gia da prima. Ci fu offerto il classico te di Yak che e’ te nero ma che al posto del latte ha invece dentro il burro di Yak . Ha un gusto amaro acido ma e’ molto energetico. Con Nima andammo nella tenda-mensa e iniziammo a parlare di tantissime cose accadute in questi due anni dopo la cima salita insieme del Himlung Himal. Dopo un bel po decidemmo di andare a riposare e di rivederci alla sera per la cena dove avremmo parlato del piano tattico per scalare l’ Amadablam. Alle 18.00 ci ritrovammo con Berni, Sara, Nima , Pasang e Luckme. Nima ci fece notare che il meteo per i prossimi giorni non sarebbe stato molto bello e siccome ai campi alti c’ era parecchio muovimento di gente, saremo rimasti  due giorni al campo base prima di salire a campo1 a 5650 mt. a depositare materiale. A me la cosa andava benissimo perché avrei avuto un opportunita´ in piu per riposare, dormire, e ricaricarmi bene fisicamente. Anche Berni e Sara accolsero la decisione di Nima positivamente. Durante la sera inizio’ a nevicare e non smise per parecchie ore, ero un po preoccupato perche fuori erano gia caduti 10 cm di neve fresca. Fortunatamente durante la notte  la nevicata cesso´. La mattina quando ci svegliammo, la giornata si presento´ con un cielo limpidissimo, temperature fresche ed un campo base tutto imbiancato.

 

Vista la situazione, eravamo convinti di potercela prendere comoda anche il giorno seguente, ma non fu cosi. Pasang ci venne a trovare nella tenda-mensa e disse che Nima aveva deciso che il giorno dopo saremmo dovuti salire a campo 1 per depositare materiali come tende, sacchi a pelo, viveri e le scarpe d’ alta quota. La colazione ci fu servita alle 07.00. Zaini in spalla, alle 08.30 il gruppo inizio´ad incamminarsi.  Partimmo belli carichi con circa 20-25kg sulla schiena. Dissi subito che sarei salito con calma e piano perché avevo bisogno del mio tempo e del mio ritmo. In quota ho imparato una cosa sola….se vai piano, davvero piano allora le possibilita’ di riuscire sono maggiori. Oramai mi conosco e so esattamente con che ritmi mi devo muovere. Fu una pedalata infinita. Salite e discese tra le murena del ghiacciaio, un labirinto tra enormi blocchi di granito da superare e ripide placche da scalare allestite con corde fisse nella parte finale. Dopo 7-8 ore di salita arrivammo finalmente a campo 1, posto su una bellissima cresta con vista panoramica spettacolare. Rimanemmo per qualche ora lassu a goderci il posto, fu anche una buona occasione per migliorare l’ acclimatamento. Nel frattempo sistemammo sui blocchi di granito le nostre tende depositandoci dentro le cose che avevamo portato fino lassu. Bevemmo te caldo e mangiammo una minestra di carne, un goccio di Coca Cola e poi con molta calma scendemmo. Alle 17.00 eravamo nuovamente al campo base. Stanchi neanche da dire, ma per fortuna i due giorni successivi visto il meteo, potemmo utilizzarli per ricaricarci le batterie. Secondo le informazioni che Nima aveva ricevuto da Temba che era a Kathmandu, il bollettino meteo dava bellissime giornate per i giorni seguenti. Al campo base se non hai niente da fare la vita si fa un po monotina. Giri e rigiri e le cose che fai o le facce che vedi son sempre quelle. Io dormivo volentieri oppure mi leggevo dei libri ascoltando un po di musica. Mi aiuta a rilassare e ad aumentare la concentrazione. Con Berni durante il pomeriggio eravamo andati ad osservare un gruppo di “climbers” americani che si stavano esercitando su un sasso alto 4-5 mt. allestito dal loro capo gruppo con corda fissa utilizzando i jumar. Una volta arrivati su dovevano scendere facendo corda doppia. Da come erano attrezzati capivamo al volo tante cose e si vedeva che di montagna ne avevano masticata ben poca. Gente come questa compra un pacchetto viaggio con cima inclusa ma non si rende nemmeno conto di rischi e pericoli che corrono. Molte cime in Himalaya sono cosi commercializzate che basta pagare e ti vendono un Everest come se fosse quasi una paseggiata. I commenti ce li siamo fatti a voce bassa e dopo un po decidemmo di andarcene via. Cose del genere meglio neanche vederle. Se durante la scalata ti trovi gente cosi davanti, che sembrano elefanti che si muovono sul filo di una ragantela, capisce anche perché e’ facile trovarsi in situazioni di pericolo. Avevamo deciso di farci un giro per il campo base a vedere di conoscere qualcuno, ma anche li cosa non facile. Non riesco mai a capire perché quando provi a salutare o a chiedere da dove una provenga, quando ha intenzione di salire ai campi alti ecc. ….molti nemmeno ti rispondono, fanno finta di non sentire, non ti vedono e se la tirano come se fossero chi sa che cosa più degli altri. Piu volte ho fatto queste esperienze. Una mattina usciti dalle tende andammo per salutare degli alpinisti di una spedizione norvegese che aveva le tende vicino le nostre. Iniziammo con un “Namaste how are you”….questi manco ci considerarono. Roba da matti. Il giorno che salimmo per depositare materiale a campo 1, incontrammo una coppia polacca che scendeva e chiesi se avessero fatto la cima e come era andata, lui non rispose, lei disse:” We don ´t like to talk “. Andiamo bene.!!. La sera vennero a cena degli spagnoli amici di Nima, Xavi Arias capo spedizione e guida del gruppo” Infinit Emotions” aveva gia scalato insieme a Nima su diversi 8000 mt. ed ora era qui a guidare un gruppo di 6 clienti sulla stessa nostra montagna. Quella sera si parlo di tutto e di più, fu una serata molto bella ed allegra. Xavi ci disse inoltre che sarebbe partito per la cima un giorno prima di noi e al campo 1 avrebbe lasciato una tenda libera a nostra disposizione, bastava solo riportargliela durante la nostra discesa. Il 30 ottobre fu fatta la Puja che e’ una cerimonia religiosa in cui un monaco buddista celebrando una sorta di messa, chiede agli spiriti della montagna di essere clementi con gli alpinisti e di proteggerci dai pericoli durante la scalata. E’ un momento molto spirituale di profonda concentrazione e meditazione da parte di tutti che poi finisce col classico rito dove si offre riso che viene buttato per aria per due tre volte da parte di tutti gli alpinisti. A fine puja vengono distribuite cose da mangiare, te, birra e altro per concludere il tutto come una festa di ringraziamento agli dei.

Il 31 ottobre si inizio’ a fare sul serio. Fatta colazione, verso le 09.00 con zaini in spalla,ripartimmo per la seconda volta lungo i sali e scendi delle murene. Lo zaino fu un po meno pesante rispetto alla prima volta ma ogni uno di noi aveva dovuto caricarsi oltre alle sue cose personali, mangiare extra, acqua e bombole di gas per cucinare.  Io riparti piano come sempre, ma non vidi nessuno passarmi davanti, mi girai e dissi che se volevano potevano benissimo superarmi. Berni disse: ” No no io oggi ti sto dietro che hai un bel ritmo”. Luckme mi disse lo stesso in inglese: ” These rhythem is good “….. e andammo avanti cosi per un bel po. Ogni tanto una piccola pausa per bere qualcosa e poi di nuovo avanti piano. Durante la salita avevamo fatto diverse soste, mala giornata era bella e sicura per il tempo. Impiegammo un po di meno rispetto al primo giro. Alle 15.00 eravamo finalmente alle tende. Nima con Pasang prepararo qualcosa da mangiare mentre noi iniziammo a sistemare i sacchi a pelo per la notte. Durante la cena con Nima venne deciso di andare il giorno seguente direttamente da campo 1 a campo 2 posto a 5800 mt.. Non c´era molto dislivello da fare, ca. 300 mt. pero’ la salita era molto laboriosa. Si sale lungo un costone di roccia orizzontale e intorno a numerosi pinnacoli, l’esposizione è enorme, con enormi strapiombi da entrambi i lati della cresta, l’arrampicata è molto divertente con granito di buona qualità. Il punto più critico si trova appena prima del campo due, alle base di un’aerea torre di granito, la torre gialla, alla quota di quasi 6000 metri. La liscia parete rocciosa alta una ventina di metri conduce a una sella e quindi ad alcune strette cenge a cui si aggrappano le tende del campo. La verticalità e l’esposizione, unitamente al peso degli zaini, rendono ardua la scalata in libera. Oltre ad una buona tecnica alpinistica, ci vuole forza mentale, fisica e nervi saldi. La salita e´ interamente assicurata con corde fisse cosi come il tratto che da campo 2 porta alla cima. E’ severamente vietato fare errori. Il più grande problema e´ quello di sapere individuare in maniera precisa le corde fisse sicure da utilizzare per assicurarsiassicurarsi. Ogni anno centinaia di metri di corde vengono fissate ma molte vecchie lasciate ed abbandonate. Molte spariscono sotto la neve ingannando facilmente chi vi si attacca altre usurate e rovinate dal vento. Molti alpinisti quando salgono o per la fatica o per l´inesperienza spesso e volentieri si assicurano a tutto cio´ che trovano senza considerare se le corde dove si sono fissati siano in buono stato e sicure. Puntualmente capitano ogni anno diversi incidenti mortali proprio per questo motivo. La mia paura più grande non era quella di essere travolto da una scarica di ghiaccio, il freddo, una valanga o la verticalità di certi passaggi, ma proprio il sapere valutare bene dove attaccarsi e di principio utilizzare sempre una doppia sicura in caso una corda avesse potuto cedere. Vedendo certi ancoraggi, beh mi venivano i brividi, corde vecchie e consumate o usurate dal vento ancorate a volte ad un unico punto o singolo chiodo. Nima fu sempre davanti a noi in corda con Sara, subito dietro io e Berni, mentre Pasang e Luckme chiudevano in coda. I passaggi per arrivare a campo 2 furono molto impegnativi ed esposti e con uno zaino pesante e considerando la quota, la cosa si fa ancora più dura. Il punto piu impegnativo e duro fu sicuramente sotto la ” Yellow Tower”. Una paretina verticale di 30 mt. da superare con jumar. Bisognava tirarsi su a forza di braccia, bloccarsi e rispingere avanti lo jumar per guadagnare altri metri. Per velocizzare la cosa e risparmiare energia mi feci una staffa che mi aiuto moltissimo. Appeso ad una unica corda ancorata ad una sosta fortunatamente sicura, durante la lenta salita pensai spesso ad un´unica cosa: ” guai se si rompe ” . Pochi metri di dislivello tra i vari campi ma impiegammo più di 6 ore per arrivarci. Il posto spettacolare posizionato su un nido d´acquila a strapiombo a 5880 mt. Una torre verticale di granito di 50 mt. quadri dove erano sistemate non piu di 9 tende. Il sistema per accedere da un campo all´altro era molto semplice. Si faceva a rotazione. Quando un numero di scalatori era a campo 1  e partiva per campo 2, dal campo base partivano altri scalatori alla volta di campo 1 e cosi via senza creare sovraffollamenti. Eravamo in cima la Yellow Tower verso le 15.30 di pomeriggio. Nima e Pasang come al solito si occuparono della ” Haute cuisine”..preparando un po di “noudles cinesi”, in piu avevamo speck, parmiggiano e qualche pezzo di cioccolata. Nima non volle partire con gente davanti a lui. Decise che la sveglia doveva essere alle 23.00 e la partenza non dopo le 23.30. In tenda si stava un po strettini, dissi a Berni di cercare di muoversi il meno possibile perche´ sotto di noi c´era un bel po di vuoto… Qualche battuta a riguardo e poi tutti a dormire. Non si fece quasi a tempo a chiudere gli occhi che gia suonava la sveglia. A vestirsi in tre nella tenda era un bel impegno e non facile, ma con pazienza si fecce tutto. La colazione fu veloce, un po di te e due biscotti ,non riesco mai a mangiare di piu. Mentre eravamo a metterci i ramponi, controllare imbrago e mezzi di assiucurazione, le pile della lampada forntale, riconobbi la voce di Xavi Arias. Non capivo perche´ fosse rientrato cosi tardi dalla cima con i suoi due compagni. Erano tutti e tre molto stanchi e provati. Parlavano con degli Sherpa di soccorso, di un coreano che stava male, di ossigeno…  Partimmo come previsto verso le 23.30. La temperatura sara´stata sui -20 ma fortunatamente non c´era vento. Davanti a noi Nima e Sara, io e Berni subito dietro, Pasang e Luckme leggermente più distanti. Procediamo in fila indiana. Quasi subito la cresta si raddrizza, raggiungendo la verticalità con la torre grigia, un pilastro verticale che si affronta sulla destra con tre tiri di  arrampicata su un misto di neve ghiaccio ed alcuni brevi tratti di roccia, bisogna procedere uno alla volta visto che dal canale scendono parecchi pezzi di ghiaccio. Si raggiungere una sottile crestina di neve a 70°.

Da campo 2 la salita si fa impegnativa, richiede tecnica e alta concentrazione su passaggi di granito e ghiaccio. Era buio pesto e l´unica cosa che si riusciva a vedere era il terreno illuminato dalle nostre luci. Si procedeva in maniera regolare mantenedo un ritmo costante. Passi corti ma ben precisi. Della salita non ricordo moltissimo perche´ ero molto concentrato sui vari passaggi che c´erano da affrontare. Durante una piccola pausa, Berni mi passo davanti. Poco dopo notai che stava salendo con due picozze in mano mentre il resto di noi procedeva usando solo lo jumar. La sua idea era di salire la cima toccando meno possibile le corde fisse. Lui si ispirava al mitico alpinista svizzero Ueli Steck dove tutto doveva essere leggero e veloce . Berni ci provo per un bel tratto, ma man mano che si saliva mi accorsi che stava diventando stanco.Poco dopo, superiamo un panciuto seracco appeso chissà come alla cresta, sulla cui piatta sommità trovano posto le tende del campo tre. Incombente, sulla verticale del campo, torreggia il Dablam, la “collana” da cui prende il nome la montagna. Il gigantesco grumo di ghiaccio pensile domina questo versante del monte, ed è visibile sin da Namche Bazar. Cercai di convincere Berni a mettere via le picozze e risparmiare tutte le energie per raggiungere la cima. Mi guardo e mi disse ok…..dissi che da qui in avanti avrei fatto il ritmo contando non piu di 20-30 passi alla volta. Quando mi fermavo doveva fermarsi anche lui. Partimmo ed iniziammo a fare un bel ritmo. Mancavano non piu di 400 mt. alla cima. Guardando verso la mia sinistra vidi al orizzonte un po di rosso e arancione, controllai il mio altimetro e segnava 6550 mt., ed erano le 06.20. Man mano che salivamo divenne sempre piu chiaro. La cima non doveva essere piu lontana ma quel pendio era ancora ripido,molto ripido e sembrava infinito. Procedevamo sempre con me davanti che contavo i passi e Berni dietro. Da lontano il Pumori, il Cho Oyu e tante bellissime cime vennero illuminate dai primi raggi del sole. La pendenza non cenna a diminuire anzi a tratti si fa molto ripida quasi verticale, con alcuni tratti talmente ghiacciati che sembra vetro. Superate le canne d’ organo lavorate da sole e vento ad un tratto vidi Nima sparire, poco dopo Sara. Avevano scollinato superando l´ultimo dosso ed erano in cima. Io e Berni li raggiungemmo pochi minuti dopo. Erano le 07.15 del 3 novembre ed eravamo arrivati in cima al Amadablam. Gioia immensa, panorama spettacolare con vista su Everest, Lohtse, Manaslu, Cho Oyu, Kanchendzonga, e chi più ne ha più ne veda. Eravamo gli unici ed i primi quella mattina in vetta. Scattate le foto di rito con tutti i vari amici di spedizione dopo circa 30 minuti di permanenza sulla cima, dissi a Nima che io e Berni volevamo iniziare a scender. I primi che incontrammo durante la discesa furono Pasang e Luckme. Più sotto seguirono alpinisti appartenenti ad altri gruppi. In discesa eravamo piuttosto veloci, tanto che in meno di quattro ore eravamo quasi al campo due. A 300 mt. dal campo 2 fummo bloccati da un gruppo di cinque giapponesi che con i relativi Sherpa stavano salendo lungo le corde fisse impedendo cosi a chi era sopra di loro di scendere. Aspettammo nello stesso punto per circa un’ ora. Poi finalmente arivammo al campo 2 dove aspettammo gli altri. Riposammo un paio di ore e poi si continuo’ la discesa fino a campo 1 dove si decise di passare la notte. Berni invece stava talmente bene che prosegui la discesa fino al campo base. Mi saluto dicendomi: ” Domani risalgo e ti vengo in contro”. Il giorno dopo scendendo da campo uno al campo base cercai di individuare Berni, ma nulla, non lo vidi mai arrivare in contro. Arrivai al campo base, Berni era li bello tranquillo su una sedia a piedi nudi in totale relax che si godeva una buona tazza di te caldo. Gli dissi ridendo: “Meno male che dovevi venirmi in contro”. Mi rispose:”La tirata di ieri mi ha cotto”. Presi una sedia, mi sedetti vicino a lui e ci godemmo il sole caldo del pomeriggio e ripercoremmo mentalmente tutta la salita e la discesa ammirando quella straordinaria montagna davanti a noi. Era un momento molto bello, eravamo fieri di noi stessi per quello che avevamo appena fatto. Difficile da descrivere. Piu tardi nel pomeriggio iniziarono a girare le primie notizie riguardanti un alpinista coreano precipitato dal Amadablam. Era il coreano di cui parlo´ Xavi Arias mentre ci fissavamo i ramponi agli scarponi. Durante la salita il coreano si era sentito male a causa della quota diventando apatico, era privo di forze e non più in grado di scendere. Non si sa per quale motivo si fosse tolto ramponi, svincolandosi inoltre dalla corda fissa, scivolo’ e precepito’ da un’ altezza di 6500 mt. morendo sul colpo. Il suo corpo fu recuperato nel tardo pomeriggio da un elicottero chiamato dal capo spedizione del suo gruppo e sucessivamente il corpo dello sfortunato alpinista, volato a Kathamndu. Più tardi due dei giapponesi che avevamo incontrato mentre noi scendevamo vennero recuperati ed evacuati da campo 3 a 6300 mt. con elicottero per congelamenti a mani e piedi e volati al campo base. La sera durante la cena si presento´ il nostro cuoco con una bellissima torta per festeggiare la cima. Venne tagliata e distribuita a tutti i membri della spedizione e si concluse cosi un’ altra super giornata.  Avevamo sperato di rimanere un giorno in piu al campo base, ma purtroppo i portatori organizzati da Temba erano arrivati con un giorno di anticipo costringendoci a smontare le tende e tutto il resto del campo, fare valigia e partire. Con Berni avevamo anche valutato la possibilita’ di andare e salire la cima del Lobuche Peak ma purtroppo per questo motivo logistico non fu possibile. Nima sarebbe rimasto un giorno in più al campo base per assicurarsi che tutto il materiale del campo base fosse trasportato e risistemato al villaggio di Somare, dopo di che se ne sarebbe ritornato a Kathmandu in elicottero, mentre io, Berni, Pasang, e Luckme  quel giorno ci facemmo una bella tirata fino a Namche Bazar. Non so quante ore camminammo, ma il ritmo fu cosi veloce che ci chiamarono il ” Dolomiti Express”. Arrivati a Namche nel pomeriggio, con grande sorpresa incontrammo Kalus Malsiner, un nostro compaesano che con la figlia stava facendo un trekking. Nel lodge dove avremmo dormito l’ ultima notte rincontrammo Kancha Sherpa, l’ unico Sherpa ancora vivente della spedizione del 1953 dove Tenzing Norgay e Sir. Edmund Hillary conquistarono per la prima volta la cima del tetto del mondo. Disse che aveva sempre pregato per noi e sperava di rivederci presto. Fu un incontro bellissimo, molto particolare ed interessante. Eravamo tutti molto felici di rivederlo e onorati di potere parlare con lui. Un privilegio potere visitare la sua stanza piena di tantissimi ricordi e di riconoscimenti ricevuti dal governo del Regno Unito e nepalese per quella storica impresa. Il giorno dopo scendemmo a Lukla dove passammo l’ ultima notte. Poi ci fu il volo di ritorno per  Kathamndu.

Fu una bellissima esperienza anche questa volta, e sono davvero contento di avere scalato ancora una volta con Nima, e con uno come Berni.

Un grazie a tutti i miei compagni di spedizione, grazie a coloro che al campo base hanno cucinato e preparato ogni giorno un sacco di cose buone. Ringrzio i portatori che con grandi sforzi ogni giorni ci hanno accompagnato portando i nostri pesanti borsoni. Grazie a tutti gli amici che si sono allenati insieme a me sia d’ inverno che d’ estate, un saluto a tutti coloro che abbiamo incontrato durante queste meravigliose settimane trascorse in Nepal. Grazie ai miei Sponsor : Bevande Franz Rabanser, Caffe Caroma e Hubert della ditta Worndle. Un saluto a tutti coloro che ci hanno seguito da casa, che ci hanno scritto e trasmesso un sacco di energia positiva e con i quali mi scuso ancora una volta per il ritardo di questo post. La cima e´ dedicata anche a voi. Grazie a Temba Thseri Sherpa per la super organizzazione con la sua agenzia SHERPA KHANGRI OUTDOOR. Un grazie a Nima per essere stato ancora una volta mio compagno di spedizione. Grazie a Pasang e Luckme e grazie a tutti quelli che hanno reso possibile questa spedizione.

NAMASTE.

 

 

 


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